Viviamo in un’epoca in cui l’intelligenza artificiale invade ogni aspetto della vita: medicina, pubblicità, musica, cinema. Anche l’arte visiva.
Ma cosa accade quando la macchina imita il volto umano? Quando simula la ritrattistica? La pittura figurativa è chiamata a rispondere: è ancora necessaria?
Il volto come specchio dell’interiorità
«Gli accidenti mentali muovono il volto dell’uomo in diversi modi […]. Alcuni ridono, altri piangono, altri si rallegrano, altri si rattristano […]. E questi tali accidenti debbono accompagnare le mani col volto, e così la persona tutta.»
— Leonardo da Vinci, Trattato della pittura, par. 282
La pittura non è riproduzione meccanica, ma gesto incarnato: un moto interiore che si fa forma. È la coscienza a rendere vivo il volto.
Un artista figurativo non è una macchina fotografica, né è in competizione con essa (questo è il grande limite dell’iperrealismo); e non è nemmeno l’antagonista di un prompt.
Il chiaroscuro della psiche
«Il chiaroscuro sfumato, mobile, vibrante increspa la superficie del volto ovale, concludendo e precisando il giudizio sulle qualità umane del modello: una perfetta lucidità razionale e, insieme, una sensibilità trepidante, quasi ansiosa.»
— Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, p. 525
Il volto è giudizio, ambiguità, tensione tra dentro e fuori. Le immagini generate dall’IA non partecipano a questo conflitto: appaiono complete, ma asettiche.
Ecco perché queste immagini risultano così vuote agli occhi — e alle anime — educate al “veramente bello”.
Cosa l’IA non può emulare
Ho letto un articolo su LinkedIn di Antonella Braccia (Tony Arms), che osserva con lucidità:
«Ecco, questa è la differenza che l’intelligenza artificiale non può emulare: la capacità di suscitare emozioni autentiche, di creare una connessione umana attraverso l’imperfezione e il carattere che solo l’intelligenza umana può infondere in un’opera d’arte.»
— Antonella Braccia (Tony Arms), LinkedIn Pulse, 2 settembre 2024
La pittura figurativa non è fuori tempo: è resistenza. Resistenza all’algoritmo che appiattisce, alla finzione dell’emozione simulata. È imperfezione viva contro la perfezione sterile.
Conclusione: il volto come verità visiva
Dipingo il volto non per riprodurlo, ma per interrogarlo.
Nel tempo della simulazione digitale, il volto dipinto — il ritratto figurativo — è una presa di posizione. È un gesto di profondità in un mondo che si accontenta della superficie.
«La creatività è fatta di emozioni, imperfezioni, e storie personali che nessuna macchina può replicare.»
La pittura figurativa custodisce questo: il segno dell’uomo che sente, che vede, che percepisce il reale e non il suo algoritmo.
👉 Scopri come questa riflessione prende forma nelle mie opere. Visita la sezione “Dentro l’opera” per entrare nei volti che dipingo.
